Quando oggi pensiamo alla pizza, vediamo subito un disco di pasta sottile, il profumo del pomodoro, il bianco della mozzarella che fonde, il verde del basilico, il forno caldo, il gesto rapido del pizzaiolo. Ma questa immagine, così naturale per noi, è il risultato di un viaggio lunghissimo che attraversa civiltà, scoperte geografiche, miseria e genialità popolare, industrializzazione, turismo di massa e cultura pop. La pizza non “nasce” in un giorno preciso, né per mano di un solo inventore; è un’evoluzione lenta e stratificata. Per capire davvero le origini della pizza, bisogna accettare un’idea semplice: prima della pizza, c’è stata la focaccia.
Prima della pizza: il mondo delle focacce antiche
Molto prima che qualcuno pronunciasse la parola “pizza”, popoli di ogni parte del Mediterraneo cuocevano impasti di cereali su pietre calde, in forni primitivi o sotto la cenere. Erano pani piatti, spesso conditi con quello che c’era: olio, erbe, formaggi, cipolle, spezie. Non pizza, ma un’antenata credibile.
- Gli Egizi conoscevano già il pane lievitato.
- I Greci antichi consumavano focacce come la plakous, condita con erbe, formaggio, talvolta miele.
- I Romani avevano la picea o pinsa: un disco di pasta cotto vicino al fuoco, talvolta condito con olio, sale, aromi, e quella “placenta” farcita a strati.
Il principio è lo stesso: qualcosa di semplice, piatto, facilmente cotto, adatto ad essere guarnito. Nei secoli, in tutta l’Italia pre-unitaria si sviluppano varianti: focaccia ligure, schiacciata toscana, crescia, sfincione siciliano. Ma manca ancora un protagonista fondamentale: il pomodoro.
Il pomodoro arriva in Europa (e nessuno lo vuole)
Il pomodoro è americano. Arriva in Europa nel XVI secolo dopo la scoperta del Nuovo Mondo e per lungo tempo è guardato con sospetto: pianta ornamentale, frutto strano, talvolta considerato velenoso. Solo tra XVII e XVIII secolo, lentamente, il pomodoro inizia a essere utilizzato in cucina nel Sud Italia, e in particolare nell’area napoletana.
Ed è qui che la storia prende una piega decisiva.
La Campania ha:
- clima favorevole,
- terreni vulcanici (perfetti per il pomodoro),
- una città enorme e povera come Napoli,
- una tradizione di pane e focacce già ben radicata.
Quando qualcuno inizia a mettere il pomodoro sulle focacce, non sta “inventando” la pizza come la conosciamo oggi, ma sta accendendo la miccia.
Napoli, tra miseria e genio: nascita della pizza moderna
L’Ottocento è il momento chiave. Napoli è una metropoli densamente popolata, piena di lavoratori, artigiani, ambulanti, famiglie che vivono in pochi metri quadri. Serve un cibo:
- economico,
- nutriente,
- facilmente reperibile,
- mangiabile in strada, senza tavolo e posate.
La pizza risponde perfettamente a questa esigenza. Non è ancora “gourmet”, non è un simbolo, non è brand: è cibo dei poveri. Il pizzaiolo è un mestiere popolare; le pizzerie sono forni aperti sulla strada, dove la gente compra una pizza intera o, spesso, un “pezzo” piegato a portafoglio.
Le prime pizze codificate sono semplici e geniali:
- Pizza bianca: solo aglio, strutto o olio, sale, talvolta basilico.
- Pizza marinara: pomodoro, aglio, origano, olio. Si chiama così non perché abbia il pesce, ma perché era la pizza dei marinai, economica e conservabile.
- Pizza con formaggio: con formaggi locali, come il caciocavallo o la provola.
La mozzarella di bufala campana, il fiordilatte, l’olio buono, il basilico: sono ingredienti che nascono dalla terra intorno alla città e finiscono naturalmente sulla pizza. Non per marketing, ma per vicinanza.
La pizza è già, di fatto, un piatto compiuto: disco di pasta lievitata, pomodoro, formaggio, forno caldo, consumo immediato. È Napoli che trasforma la generica “focaccia condita” in pizza come la intendiamo oggi.
La leggenda della Margherita: mito, verità e semplificazioni
La storia più famosa: nel 1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito prepara tre pizze per la regina Margherita di Savoia. Una ha i colori della bandiera italiana: rosso (pomodoro), bianco (mozzarella), verde (basilico). La regina apprezza, Esposito la dedica a lei: nasce la “pizza Margherita”.
È una storia bella, patriottica, perfetta per il racconto dell’Italia unita. Storicamente:
- documenti d’epoca confermano una lettera di ringraziamento alla Pizzeria Brandi;
- pizze simili alla Margherita esistevano già prima;
- l’episodio codifica, più che inventare, la combinazione pomodoro–mozzarella–basilico.
Quindi la pizza Margherita non nasce dal nulla in un giorno preciso: esisteva già nella pratica popolare. Quello che cambia è il riconoscimento “ufficiale”: da cibo di poveri a piatto degno di una regina. In quel momento la pizza fa un salto simbolico. Non è più solo “strada e miseria”: diventa cultura, identità, bandiera commestibile.
Ingredienti chiave: perché la pizza è unica
La pizza napoletana tradizionale è molto più tecnica di quanto sembri. Le sue origini sono legate a:
- Impasto e lievitazione
Farina di forza medio-bassa, acqua, sale, lievito (in origine pasta di riporto o lievito di birra).
Lievitazione lunga, maturazione che rende l’impasto digeribile e lavorabile. - Stesura a mano
Il pizzaiolo spinge l’aria dal centro verso l’esterno, creando il cornicione. Niente mattarello, niente pressa. - Forno a legna
Altissima temperatura (circa 430–480°C) e cottura velocissima (60–90 secondi).
Questo crea:- cornicione alveolato,
- base morbida ma non cruda,
- “macchie” di leopardatura.
- Pomodoro e mozzarella
Pomodori pelati (spesso San Marzano o affini), schiacciati a mano, poco lavorati.
Mozzarella di bufala o fiordilatte ben scolati: il latte in eccesso devastarebbe la struttura.
Questa combinazione, nata dall’osservazione, dalla pratica quotidiana, dal miglioramento empirico, distingue la pizza napoletana da tutte le altre focacce nel mondo.
Dal vicolo al mondo: emigrazione e globalizzazione della pizza
La pizza resta per decenni un piatto principalmente napoletano. La svolta arriva tra fine Ottocento e primo Novecento con l’emigrazione italiana, soprattutto verso Stati Uniti, Argentina, e il resto d’Europa.
Gli emigranti portano con sé:
- lingua,
- usi,
- cucina povera (pasta, pane, polpette, e sì, anche la pizza).
Negli Stati Uniti, in quartieri come Little Italy, nascono le prime pizzerie. Ma qui la pizza cambia subito:
- forni diversi (spesso a carbone o elettrici, non sempre a legna),
- farine e pomodori locali,
- gusti americani (più formaggio, più condimenti, più abbondanza).
Si sviluppano stili “italo-americani”:
- la pizza tonda stile New York, più grande e sottile, piegata “a portafoglio” anche lì;
- la pizza alta tipo Chicago, quasi una torta ripiena.
La pizza smette di essere solo Napoli: diventa “italiana”, poi “internazionale”. Con il dopoguerra e il boom economico:
- il turismo porta milioni di persone a Napoli, Roma, sulla costiera;
- la pizza diventa piatto iconico dell’Italia all’estero;
- nascono catene, versioni industriali, surgelate, fast-food.
Paradosso: un piatto nato povero, locale, legato a ingredienti precisi, diventa globale, adattabile, spesso snaturato. Ma proprio questa capacità di trasformarsi contribuisce al suo successo planetario.
Tradizione vs innovazione: identità in evoluzione
Oggi parlare di “origini della pizza” significa anche capire il suo presente. Da una parte:
- la pizza napoletana STG (Specialità Tradizionale Garantita) riconosciuta dall’Unione Europea;
- disciplinari che definiscono idratazione, cornicione, cottura, ingredienti, metodo;
- associazioni di pizzaioli che difendono la tradizione.
Dall’altra:
- pizza contemporanea, con impasti ad alta idratazione, farine alternative, pre-fermenti;
- topping creativi: pesce crudo, ingredienti DOP, contaminazioni etniche;
- stili regionali e internazionali: romana scrocchiarella, pala, teglia, Detroit style, New York style, gourmet.
La domanda è: queste evoluzioni “travisano” le origini? In realtà no. Se guardiamo alla storia, la pizza è sempre stata:
- figlia del contesto;
- risposta concreta a bisogni reali;
- spazio di creatività popolare.
La tradizione napoletana è il cuore storico, ma la capacità del piatto di cambiare forma, bordo, spessore, sapore, è scritta nel suo DNA. L’importante è non perdere memoria: sapere che tutto nasce da un disco di pasta, dal pomodoro “nuovo” che diventa quotidiano, dal forno di un vicolo di Napoli.
Perché la pizza è diventata un simbolo globale
Per capire fino in fondo le origini della pizza non basta la cronologia. Bisogna chiedersi: perché proprio lei?
Ci sono alcuni motivi chiave:
- Semplicità apparente
Ingredienti comprensibili ovunque: pane, pomodoro, formaggio. Ma dietro, grande tecnica. - Accessibilità economica
Nasce come cibo povero, continua a essere relativamente accessibile rispetto ad altri piatti. - Convivialità
Si condivide, si taglia, si mangia con le mani, si divide in spicchi. È social per natura. - Adattabilità culturale
Ogni paese può “metterci del suo”: spezie, formaggi locali, abitudini alimentari. La pizza dialoga con le culture, non le respinge. - Immaginario positivo
È legata all’Italia, al sole, al mangiar bene, alla tavola come piacere, non solo nutrizione.
Dalle prime focacce agli antichi forni, passando per i vicoli di Napoli e le navi degli emigranti, la storia della pizza è una storia di resilienza e mescolanza. Le sue origini ci dicono che spesso i piatti destinati a diventare leggendari non nascono nei palazzi dei potenti, ma sulle mani sporche di farina di chi deve sfamarsi con poco e ci mette tanta intelligenza.
In sintesi
La pizza, così come la intendiamo oggi, nasce dall’incontro di tre elementi:
- una lunga tradizione mediterranea di pani piatti conditi;
- l’arrivo del pomodoro dal Nuovo Mondo e la sua adozione nel Sud Italia;
- il contesto sociale di Napoli tra XVIII e XIX secolo, dove il bisogno di cibo economico e veloce incontra il talento dei fornai e pizzaioli.
Da lì in poi, la pizza non smette più di viaggiare: cambia, si moltiplica, si globalizza, ma continua a portarsi dietro il ricordo delle sue origini popolari. Ogni volta che affondi i denti in una Margherita fatta come si deve, stai mordendo un pezzo di storia che parte da molto lontano e arriva dritto, caldissimo, sul tuo piatto.